ASINARA. Dalla palazzina rossa di Cala d’Oliva, la foresteria che ospitò per quasi un mese i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, al bunker di Totò Riina, la famosa «discoteca» – chiamata così perchè aveva le luci sempre accese, anche di giorno – ci sono poche centinaia di metri. Sarà questo il percorso della legalità, simbolo sardo della lotta alla mafia legata alla storia degli uomini e delle donne che la criminalità organizzata l’hanno combattuta, sino a pagare con la vita. Il progetto nasce nel giorno in cui il Parco nazionale dell’Asinara ricorda «in una dimensione umana» – come dice Sante Maurizi, direttore artistico del Festival Pensieri e Parole – i due giudici che nell’isola trascorsero quasi un mese, nell’estate del 1985, per scrivere l’ordinanza-sentenza del primo maxi-processo contro Cosa Nostra. Giuseppe Ayala, magistrato e uomo politico si asciuga le lacrime. Al suo fianco Leonardo Guarnotta, presidente del Tribunale di Palermo, giudice istruttore in quel pool antimafia fondato da Antonino Caponnetto che annoverava tra gli altri Falcone, Borsellino e lo stesso Ayala. Devono parlare, ma l’emozione è forte, l’affetto per gli amici scomparsi è rimasto immutato e la commozione toglie le parole. Alessio Satta, direttore della Conservatoria delle Coste, traccia il futuro: «L’Asinara è un caso unico nella lotta alla criminalità organizzata – dice – e deve evidenziare il messaggio in maniera tangibile, con un Centro di documentazione in continua evoluzione». E le cose sono già parecchio avanti: «E’ stato contattato don Luigi Ciotti, con l’associazione Libera, che riutilizza per scopi sociali i beni confiscati alla mafia. L’idea è di riuscire a rendere fruibile il percorso già quest’estate».
Sulla parete dell’ex foresteria c’è una targa: alle 10.30 il sindaco di Porto Torres Beniamino Scarpa la scopre. Si leggono due citazioni: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola (Paolo Borsellino)». E sotto:«La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine (Giovanni Falcone)».
Sono presenti tutte le più importanti autorità del territorio per una cerimonia semplice, che nasce dal legame con le famiglie dei due magistrati scomparsi. E anche se il clima nazionale non è dei migliori, con i misteri irrisolti della trattativa tra Stato e mafia tornati prepotentemente d’attualità, l’Asinara ha il potere di «isolare» – almeno per una mattina – le polemiche politiche. Il presidente della commissione Antimafia Giuseppe Pisanu, all’ultimo momento non è riuscito ad arrivare. E Giuseppe Ayala, che su mafia, politica, apparati deviati, giustizia, relazioni pericolose e occasioni perdute, ha appena scritto un libro che si intitola «Troppe coincidenze», non vuole “sporcare con altro” una giornata che considera troppo importante.
Entra nell’edificio che si affaccia sul mare e si muove lentamente: «E’ rimasto quasi tutto uguale – racconta – Giovanni e Paolo dormivano di là. Con Mimmo Di Lello, quando venimmo a trovarli per un weekend, ci sistemarono dall’altra parte. C’era un corridoio, ecco sì, è questo». Riconosce anche gli stessi odori di allora, Ayala. Il profumo del fico selvatico che si mischia con quello del mare. La cerimonia comincia sul palchetto sistemato quasi sulla riva.
Leonardo Guarnotta, 72 anni, ha ancora la tempra di un giovinotto. «Non ero mai stato in Sardegna – dice – e questa è l’occasione che inconsapevolmente attendevo da tanto tempo. Volevo visitare i luoghi in cui Giovanni e Paolo hanno lavorato in quei giorni così particolari. Io ero rimasto a Palermo, a tutelare il “forte”, come lo chiamavamo noi». Pochi giorni fa il presidente del Tribunale di Palermo – che nel 1993, dopo le stragi di Capaci e via D’Amerlio andò in America per interrogare Tommaso Buscetta e proseguire il lavoro dei colleghi uccisi – è tornato per la prima volta anche nel bunkerino, il “forte” nel tribunale di Palermo. Il lungo corridoio stretto, con le luci sempre accese, niente finestre: «Ci ho trascorso 11 anni della mia vita con loro, ma me ne sono reso conto solo oggi. Allora eravamo troppo impegnati a lavorare». E in quel silenzio gli è sembrato di risentire la voce di Giovanni Falcone: «Alle 20.30 diceva: ma non vi sembra ora? Togliamo il disturbo allo Stato». Più volte pensa di non farcela a finire il discorso, Leonardo Guarnotta: si ferma solo per un attimo e cede alla commozione, abbraccia Sante Maurizi che gli sta vicino. Poi chiude con il ricordo degli “angeli custodi”, gente di famiglia. Quelli delle scorte. «I miei stanno con me da 23 anni»: a memoria cita i nomi di coloro che sono caduti insieme a Falcone e Borsellino: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro; Emanuela Loi («una ragazza di questa splendida terra»), Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Fabio Li Mulli e Claudio Traina. Servitori dello Stato che lo Stato non è stato in grado di salvaguardare».
Giuseppe Ayala traccia una linea di chiarezza: «Nessuno ci ha mai potuto accusare di avere piegato la schiena. Per fermare Giovanni e Paolo li hanno dovuti massacrare». E racconta le difficoltà di quel soggiorno obbligato all’Asinara che Falcone sdrammatizzò con la solita ironia: «Arrivammo io e Di Lello e in una giornata calda, come oggi, profittammo per fare un bagno. Solo che Mimmo disse: “Io vi aspetto a bordo, non so nuotare”. Decidemmo di vestirlo di tutto punto con l’attrezzatura da sub di Giovanni, con tanto di foto ricordo. Una situazione che ci strappò un sorriso». Poi un passaggio sull’esperienza politica: «Da sottosegretario alla Giustizia – ha concluso Ayala – c’era il problema di che cosa fare dell’Asinara. Ricordando la conoscenza e il rapporto con l’isola, mi adoperai per la dismissione del carcere. Una decisione che ho immaginato come una liberazione. Mi è sembrato così di liberare anche le anime di Giovanni e Paolo». Ce la fa anche lui a chiudere la testimonianza dedicata a quei compagni di viaggio, protagonisti di una esperienza irripetibile. E l’Asinara diventa il laboratorio dove raccogliere i ricordi, l’eredità culturale, umana e professionale lasciata da Falcone e Borsellino.
di Gianni Bazzoni